Con la pronuncia n. 30985 del 27 dicembre 2017, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono espresse circa le conseguenze del licenziamento intimato all’esito di un procedimento disciplinare instaurato con una contestazione notevolmente e ingiustificatamente tardiva.
L’intervento delle Sezioni Unite è stato sollecitato dal fatto che, a seguito delle modifiche introdotte all’art. 18 L. 300/1970 dalla L. 92/2012, sulla tematica in questione la giurisprudenza si era divisa in due orientamenti: il primo considerava l’immediatezza della contestazione elemento costitutivo della fattispecie, ritenendo dunque che in caso di contestazione tardiva il ‘fatto’ dovesse considerarsi insussistente, con conseguente applicazione della tutela ‘reintegratoria attenuata’ di cui al 4° comma del novellato art. 18 (così ad esempio Cass. 31 gennaio 2017 n. 2513); il secondo riteneva invece che il vizio non avesse carattere sostanziale, ma costituisse una mera violazione (formale) dell’art. 7 L. 300/1970, con conseguente applicazione della sola tutela ‘indennitaria debole’ di cui al comma 6° del novellato art. 18.
Le Sezioni Unite, con una sentenza verosimilmente destinata a far discutere, hanno concluso per una soluzione ‘intermedia’, enunciando il seguente principio di diritto: “la dichiarazione giudiziale di risoluzione del licenziamento disciplinare conseguente all’accertamento di un ritardo notevole e non giustificato della contestazione dell’addebito posto a base dello stesso provvedimento di recesso ricade ratione temporis nella disciplina dell’articolo 18 della legge 300/1970 così come modificato dal comma 42, dell’articolo 1 della Legge 92/2012” e “comporta l’applicazione della sanzione dell’indennità come prevista dal quinto comma dello stesso articolo 18 della legge n. 300/1970”.
Secondo le Sezioni Unite, quando venga “accertata la sussistenza dell’illecito disciplinare posto a base del licenziamento, ma questo non sia stato preceduto da tempestiva contestazione, si è fuori dalla previsione di applicazione della tutela reale attenuata di cui al quarto comma del novellato art. 18”, non potendosi considerare il fatto insussistente. Tuttavia, proseguono le Sezioni Unite, “il principio della tempestività della contestazione risiede anche in esigenze più importanti del semplice rispetto delle regole, pur esse essenziali, di natura procedimentale”, e si risolve in una violazione da parte del datore di lavoro dei generali precetti di correttezza e buona fede di cui agli art. 1175 e 1375 c.c., per cui ai licenziamenti intimati in violazione di tale principio non potrà applicarsi meramente la tutela ‘indennitaria debole’ di cui al comma 6° del novellato art. 18.
Se la tutela di cui al 4° comma appare eccessiva e quella di cui al 6° comma appare insufficiente, non si poteva che cadere nell’applicazione del 5° comma dell’art. 18, il quale, secondo le Sezioni Unite, assume “una valenza di carattere generale” e rappresenta una sorta di norma di chiusura applicabile “nelle altre ipotesi” di insussistenza della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo addotti dal datore di lavoro.
Nonostante l’autorevolezza dell’intervento, è probabile che il dibattito sul tema prosegua (e forse anche le divergenze interpretative…).
