La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10435 del 2 maggio 2018, ha affrontato la questione della portata applicativa del comma 7 dell’art. 18 L. 300/1970 come novellato dalla L. 92/2012, in un caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo che risulti illegittimo per mancato assolvimento dell’onere di repêchage. Nella fattispecie il Tribunale di Parma e la Corte d’appello di Bologna avevano applicato la tutela risarcitoria, e non quella reintegratoria, “non ritenendo compreso nel ‘fatto posto a base del licenziamento’ il requisito dell’impossibilità di repêchage”.
Investita della questione, la Suprema Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: “la verifica del requisito della ‘manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento‘ concerne entrambi i presupposti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, quindi, sia le ragioni inerenti all’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore. La ‘manifesta insussistenza‘ va riferita ad una evidente, e facilmente verificabile sul piano probatorio, assenza dei suddetti presupposti a fronte della quale il giudice può applicare la disciplina di cui al comma 4 del medesimo art. 18 ove tale regime sanzionatorio non sia eccessivamente oneroso per il datore di lavoro”.
La Cassazione, dunque, da un lato afferma che il ‘fatto posto alla base del licenziamento’ di cui il giudice è chiamato a valutare la sussistenza comprenda anche l’assolvimento dell’onere di repêchage; dall’altro che il giudice, anche qualora accerti la “manifesta insussistenza” di tale fatto (nelle sue due componenti), possa – e non debba – condannare il datore di lavoro alla reintegra. Per decidere quando applicare la sanzione reintegratoria e quando invece limitarsi a quella risarcitoria, mancando nella legge un’indicazione sul punto, il giudice dovrà utilizzare i principi generali dell’ordinamento in materia di risarcimento del danno; perciò, secondo la Cassazione, se riterrà la tutela reintegratoria eccessivamente onerosa per il datore di lavoro, dovrà limitarsi ad applicare quella indennitaria.
La portata innovativa della pronuncia è innegabile, anche se andrà verosimilmente rimeditata alla luce delle pronunce che verranno a seguire. Certo è che una tale estensione del potere discrezionale del giudice connota la fattispecie di un ulteriore margine di alea nella valutazione delle prospettive della lite.