La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata con due sentenze, a pochi giorni di distanza l’una dall’altra, in tema di licenziamento per giusta causa del lavoratore che commette inadempimenti in esecuzione di ordini impartiti dal superiore gerarchico.
Con la sentenza n. 23878 del 2 ottobre 2018, la Suprema Corte, confermando la sentenza della Corte d’appello di Milano, ha ritenuto illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore al quale erano state contestate delle violazioni di procedure interne in quanto tale condotta risultava conforme a una prassi diffusa in azienda ed era, non solo conosciuta, ma anche incoraggiata dai superiori gerarchici.
Secondo la Suprema Corte “in tale contesto, fermo il disvalore in sé del fatto addebitato, appare difficilmente configurabile la lesione dell’elemento fiduciario, e la stessa ipotizzabilità del grave inadempimento soggettivo da parte del dipendente per essersi questo attenuto a specifiche direttive e pressioni dei superiori in un sistema lavorativo talmente pervaso da tali pratiche irregolari da rendere difficilmente immaginabile per il lavoratore, anche in considerazione del ruolo rivestito, la possibilità di rifiutare di adeguarvisi”.
Pochi giorni prima, invece, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23600 del 28 settembre 2018, aveva cassato la sentenza della Corte d’Appello di Roma che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento intimato a un lavoratore per aver contabilizzato lavori non eseguiti, sempre in esecuzione di ordini impartiti dal superiore gerarchico.
La Corte di Cassazione ha rilevato, da un lato, che l’ordine impartito al lavoratore comportava pacificamente violazione delle procedure interne e, dall’altro, che l’esecuzione di un ordine illegittimo non è di per sé sufficiente ad impedire la configurabilità di giusta causa di recesso, non trovando applicazione nel rapporto di lavoro privato l’art. 51 c.p.
In conclusione, la Suprema Corte ha statuito che “l’esecuzione di un ordine impartito dal superiore gerarchico non vale a scriminare la condotta del dipendente ove questi era in grado di rendersi conto della illegittimità dell’ordine in quanto palese”.
Le due decisioni – pur giungendo a conclusioni opposte – appaiono a ben vedere fare applicazione del medesimo principio, secondo il quale il comportamento inadempiente attuato in esecuzione di un ordine superiore debba essere valutato tenendo in considerazione le specifiche circostanze del caso concreto, onde verificare se nella singola fattispecie debba ritenersi irrimediabilmente eliso il vincolo fiduciario.