Con la sentenza 7 dicembre 2016 n. 25192 la Corte di Cassazione è tornata ad esprimersi in ordine al problema della scelta del dipendente in esubero, in caso di soppressione di un posto di lavoro in presenza di più posizioni omogenee e fungibili. La Suprema Corte nel ribadire il principio secondo il quale “il datore deve improntare l’individuazione del soggetto da licenziare ai principi di correttezza e buona fede ai sensi dell’art. 1175 cod. civ.”, se da un lato ha confermato, sempre nel solco di un orientamento consolidato, che i criteri di scelta stabiliti in materia di licenziamenti collettivi dall’art. 5 della Legge n. 223/1991 per il caso di mancanza di accordo sindacale (anzianità e carichi di famiglia) sono sicuramente in grado di offrire “uno standard idoneo ad assicurare che la scelta sia conforme a tale canone”, dall’altro ha precisato che “non può escludersi l’utilizzabilità di altri criteri, purché non arbitrari, ma improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati”.
Se il principio di diritto in sé può sembrare tutt’altro che rivoluzionario, ciò che costituisce il profilo di maggior interesse della decisione in esame è rappresentato dal fatto che la Suprema Corte ha considerato ragionevoli e conformi a buona fede criteri quali il costo della retribuzione, il rendimento lavorativo e le condizioni economiche complessive di ciascun lavoratore, confermando la sentenza di merito che aveva ritenuto legittima la scelta di licenziare il lavoratore che, a parità di mansioni, risultava essere più costoso, meno performante e con disponibilità reddituali ulteriori rispetto a quelle derivanti dal lavoro subordinato.
